Tra le parole più usate in ambito
agricolo troviamo certamente “biodiversità”. Un termine sempre
più spudoratamente usato perché impatta nel nostro inconscio come
qualcosa di bello e utile anche se in fin dei conti molti non ne
comprendono il significato.
Partiamo quindi ad analizzare il nome.
Bio (da bios cioè “vita”, “forma vivente”) e Diversità
(cioè tutto ciò che non è standardizzato).
In natura tutto ciò che è uguale, clonato, identico è estremamente debole. La stessa evoluzione ha creato (e continua a farlo) esseri viventi differenti.
Non c'è
vivente uguale all'altro neppure nella stessa specie e varietà.
Geneticamente parlando tutti gli esseri
viventi sono differenti.
Il grande vantaggio di questa strategia
di sviluppo è quello di creare individui tutti differenti e che
quindi rispondono agli stimo ambientali in maniera differente. In
conclusione essere biodiversi vuol dire sapersi adattare
all'ambiente, resistere ad attacchi esterni, selezionare una nuova
progenie. In una parola vuol dire evolversi.
Dopo aver toccato l'argomento (per dir
la verità lo abbiamo leggermente sfiorato!) dal punto di vista
macroscopico, torniamo con i piedi dentro l'orto.
Può anche un piccolo orto essere
biodiverso?
Non solo può ma è auspicabile che lo sia sempre. Avere tante tipologie di ortaggi anche della stessa specie garantisce una maggior salubrità delle piante stesse, una capacità di adattamento maggiore e la conservabilità di una ricchezza genetica che altrimenti potrebbe andare perduta per sempre.
Non solo può ma è auspicabile che lo sia sempre. Avere tante tipologie di ortaggi anche della stessa specie garantisce una maggior salubrità delle piante stesse, una capacità di adattamento maggiore e la conservabilità di una ricchezza genetica che altrimenti potrebbe andare perduta per sempre.
Secoli e millenni di selezione genetica
umana ha reso possibile la creazione di migliaia di varietà
differenti di frutta e verdura che talvolta differiscono da una valle
all'altra, da una zona all'altra. Un patrimonio che sino agli inizi
del 1900 era ancora ben radicato in Italia.
Purtroppo questa variabilità genetica non fu vista di buon occhio dagli operatori del settore agricolo e dal consumatore stesso il quale, con il passare di pochi decenni soltanto, divenne estremamente ignorante in materia e cominciò a pretendere dal mercato solo ed unicamente poche e conosciute varietà a scapito delle tante precedentemente piantate.
Un esempio su tutti è il caso delle mele. Nella sola piccola Italia, secondo alcune stime (sottostimate dal mio punto di vista) vi erano sino a prima delle Guerre Mondiali oltre 50 varietà di mela coltivata da nord a sud, isole comprese. Oggi la stragrande maggioranza di produzione delle mele si concentra solo in Trentino e qualcosa in alta Lombardia e si basa sulla coltivazione di 5 o 6 varietà al massimo cioè un decimo circa del patrimonio genetico inerente alla melicoltura. Gli altri 9/10 di patrimonio genetico è a rischio o, peggio, si è perso per sempre.
Purtroppo questa variabilità genetica non fu vista di buon occhio dagli operatori del settore agricolo e dal consumatore stesso il quale, con il passare di pochi decenni soltanto, divenne estremamente ignorante in materia e cominciò a pretendere dal mercato solo ed unicamente poche e conosciute varietà a scapito delle tante precedentemente piantate.
Un esempio su tutti è il caso delle mele. Nella sola piccola Italia, secondo alcune stime (sottostimate dal mio punto di vista) vi erano sino a prima delle Guerre Mondiali oltre 50 varietà di mela coltivata da nord a sud, isole comprese. Oggi la stragrande maggioranza di produzione delle mele si concentra solo in Trentino e qualcosa in alta Lombardia e si basa sulla coltivazione di 5 o 6 varietà al massimo cioè un decimo circa del patrimonio genetico inerente alla melicoltura. Gli altri 9/10 di patrimonio genetico è a rischio o, peggio, si è perso per sempre.
Questo perchè siamo sempre più
propensi a riconoscere i frutti per l'aspetto estetico e non per le potenzialità intriseche (facciamo lo stesso con individui della nostra stessa specie).
La mela, a seconda dei gusti, la scegliamo
“gialla”, “verde” o “rossa” e l'industria ha quindi
scelto 3 varietà produttive eliminando tutte le altre considerate inutili.
Lo stesso discorso vale per peperoni,
pomodori, melanzane, patate, fagioli, piselli, cereali e chi più ne
ha più ne metta.
Ci sono fagioli screziati e bronzati
della Val Sesia che restano nelle mani di pochi e anziani produttori,
peperoni tipici di alcune zone completamente dimenticati e solo
ultimamente riqualificati (peperone di Voghera, di Carmagnola, di
Senise, ecc...) ma che hanno rischiato di scomparire.
Si potrebbero riempire pagine di esempi
e forse non basterebbe una vita ad elencare tutte le antiche varietà
coltivate da nord a sud di questa nostra fantastica penisola.
Ogni luogo in Italia era ricordato per
il paesaggio e per i prodotti alimentari tipici derivanti dalla
straordinaria ricchezza di biodiversità.
Con il nostro piccolo orto domestico
possiamo certamente fare molto al fine di salvaguardare queste
varietà particolari e che meritano di essere protette. Basta infatti
fare una breve ricerca in internet o tra i gruppi Facebook per
trovare persone appassionate che scambiano (quasi sempre a gratis!),
piantano e raccolgono semi di varietà tipiche, antiche e rare.
...e allora la domanda sorge spontanea...
...e allora la domanda sorge spontanea...
Perché non decidere di piantare tante
varietà biodiverse nel nostro piccolo o grande spazio?
Potremmo raccogliere ortaggi buoni da
molti punti di vista.